15 ottobre 2010

Un reality troppo reale

Non penso di andare incontro a gravi critiche (anzi!) sostenendo che secondo me il paragone proposto dal sempre ottimo (anche se non si è capito per chi) Tg5 tra la liberazione dei minatori intrappolati in Cile e il classico momento dell'uscita dei concorrenti dalla casa del Grande Fratello (vedi video sotto) sia una "cagata pazzesca", per dirla con uno dei più coloriti personaggi del nostro cinema. Eppure a ben guardare, e qui forse qualcuno vorrà smentirmi, quanto affermato nel servizio non è poi così distante dalla realtà.


Condivido appieno le posizioni di chi non ammette si possano mettere sullo stesso piano le personali disgrazie di esseri umani reali con la finzione artificiosa tipica del Grande Fratello: forse mi spingo troppo in là, ma la ritengo un'ennesima dimostrazione dello scarso rispetto che la maggior parte dei giornalisti nutre per le vite di coloro che quotidianamente "vengono raccontati" (ovvero noi tutti) nei loro articoli e servizi.

Nel valutare un qualsiasi messaggio di carattere informativo, grande importanza riveste anche il "modo" in cui le cose vengono trasposte dal mondo esterno sulla pagina o sullo schermo, e questo i nostri beniamini dell'informazione libera lo sanno benissimo (o almeno dovrebbero, trattandosi del loro mestiere...).

Detto questo, mi è stato impossibile non notare (deformazione professionale probabilmente) come le riprese, il racconto degli inviati, la colonna sonora dei servizi dedicati alle manovre di salvataggio fossero abbastanza simili ai canoni dei più classici racconti di fiction, reality show innanzi tutto.
Eddai, un po' di spettacolarizzazione non può far male no?
Purtroppo non esiste niente di più sbagliato.

Il pericolo è reale: continuare sulla strada della rappresentazione quanto più artificiosa possibile di eventi concreti, umani, in cui sono implicate tante persone nostre simili, talvolta persino vicine, porta inevitabilmente ad uno svuotamento di senso e di conseguenza ad un minor impatto emozionale della vicenda sul pubblico, che si accosta alla notizia di cronaca come farebbe con un film di fantascienza.

Pian piano stiamo perdendo interesse per ciò che accade a chi ci sta vicino: gli eventi della nostra quotidianità ci appaiono tristi e monotoni se messi a confronto con le esaltanti storie raccontate dalla tv; in un certo senso è la nostra stessa vita a sembrare poco interessante e stimolante. Figurarsi quella degli altri.

Da qui l'incredulità, vera o presunta, di molti intervistati che si trovano a recitare frasi senza senso del tipo "Non me lo sarei mai aspettato" o "Era così un bravo ragazzo..." in occasione di qualche disgrazia. In realtà la figura del vicino di casa è oggi sempre più limitata a puri rapporti formali di buona educazione o sopportazione, non di condivisione o effettiva conoscenza reciproche: com'è possibile dare giudizi, "aspettarsi qualcosa" in circostanze del genere?

Per andare avanti e decidere chi sia buono o meno nella sovraffollata società moderna ci affidiamo sempre quasi esclusivamente alle più superficiali apparenze, spesso niente più che goffi mascheramenti di movimenti interiori ben più complessi.
Se questo atteggiamento può però essere accettato e risulta quasi inoffensivo a livello individuale, il suo peso specifico sulla cultura cambia radicalmente quando viene trasportato in un contesto mediale: la forza del messaggio espresso si moltiplica, e l'effetto straniante che ne deriva può portare a conseguenze alienanti ancora non del tutto immaginabili.

Così, si può ben comprendere e accettare che una tragedia sia mostrata attraverso gli stessi stilemi del Grande Fratello senza che questo rechi disturbo o ansia, nella convinzione che, per quanto vero, ciò che viene raccontato sia "lontano", "inoffensivo", in poche parole sotto controllo.

Almeno fin quando la dura realtà ci investe, fino a quando la difficoltà di molte situazioni ci ricorda che il Grande Fratello da cui tutti i programmi traggono origine è la vita umana, e non viceversa.

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