11 ottobre 2010

Libri: Il Teatro di Sabbath

"Il teatro di Sabbath" è un romanzo umoristico-grottesco scritto da Philip Roth, maestro (tuttora vivente) della narrativa a cavallo tra vecchio e nuovo secolo. Pubblicato nel 1995, anno precedente all'uscita del primo volume della sua celebratissima American Trilogy (composta da "Pastorale americana", Ho sposato un comunista, e La macchia umana), quest'opera si discosta enormemente dagli standard narrativi cui Roth aveva fino a quel momento abituato i propri lettori, e rappresenta un autentico gioiello di ironia e umorismo erotico unico nel suo genere.
Un viaggio nei più profondi e odiosi recessi dell'anima umana che indaga con dissacrante vena caustica il senso e le implicazioni di quella complicata e sottovalutata esperienza chiamata "libertà".


Il protagonista è, nelle stesse parole di Roth, "il dimenticato burattinaio Mickey Sabbath, un uomo piccolo e tarchiato con la barba bianca e irritanti occhi verdi e dita tormentate dall'artrite deformante": già dalla descrizione una figura inquietante, quanto di più lontano possa esistere dal prototipo del protagonista di cui innamorarsi.

Nonostante la morte dell'adorata Drenka, adultera compagna di perversione per dieci lunghi anni, il sessantaquattrenne anti-eroe di questa storia non ha comunque intenzione di arrendersi a quella che sembra l'ultima e definitiva di una lunga serie di sconfitte, anzi: attraverso il dolore troverà un'occasione per ripercorre con la mente le gesta più o meno gloriose di tutta una vita, e la forza per continuare la sua farsa esistenziale fino alla fine.

Dall'esperienza del "Teatro degli innocenti" (esempio di teatro dei burattini particolarmente... d'avanguardia), con il quale si conquista l'odio dei benpensanti di NY, alle non proprio esaltanti esperienze matrimoniali; dal felice periodo al fianco dell'amata Drenka alle questioni legali derivanti dalla sua insaziabile fame di sesso il vecchio satrapo non ha rimpianti nel contare i pezzi di un'esistenza forse "sbagliata", come molti la giudicano, ma di certo indipendente e vitale. Nemmeno quando sulla commedia della sua vita sembra essere calato il sipario cede alla tentazione dello sconforto, concedendosi l'amara illusione che questa possa ancora riservargli qualche esperienza degna di essere assaporata prima della fine dello spettacolo.

Sabbath distrugge e rinnega l'ideale fittizio della terza età reclamando il proprio diritto alla vita, alla felicità, a godere di ogni singolo istante sfidando la morte come fino ad allora aveva sempre sfidato ogni altro dogma o autorità, e per questo risulta odioso, incomprensibile, ma in fondo estremamente umano.

Con lo stile fluido e schietto che lo contraddistingue (accompagnando agilmente il lettore dal discorso diretto al narratore esterno, dal piano narrativo presente al flashback, dentro e fuori dalla psicologia di ogni singolo personaggio come i confini non esistessero nemmeno), Roth tratteggia una figura umoristica impossibile da dimenticare, che proprio per l'ostinazione a nascondere la propria profonda umanità dietro una maschera di cinismo, finisce per apparire più chiaramente degli altri in tutta la commovente semplicità delle proprie contraddizioni.

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